IL TRIBUNALE 
 
    Ha  pronunciato  e   pubblicato,   mediante   lettura   integrale
all'udienza del 2 maggio 2012, la seguente ordinanza nella  causa  in
materia di lavoro, iscritta  al  n.  38445/10,  vertente  tra  Romano
Gaetano, elettivamente domiciliato in Palma Campania, via Querce 149,
presso lo studio dell'avv.  Domenico  Balbi,  che  lo  rappresenta  e
difende per procura a margine del ricorso introduttivo  ricorrente  e
Ministero dell'istruzione, universita'  e  ricerca,  in  persona  del
legale rappresentante pro-tempore, domiciliato  in  Roma,  via  Luigi
Pianciani 32 presso l'Ufficio Scolastico Regionale per il  Lazio,  in
giudizio tramite proprio funzionario resistente. 
    Con ricorso ex art. 409 c.p.c., depositato il 25  novembre  2010,
Gaetano Romano adiva questo Tribunale, in  funzione  di  giudice  del
lavoro, esponendo: 
        che egli, quale collaboratore scolastico (ruolo  ATA),  aveva
prestato  attivita',  in  favore   del   Ministero   dell'Istruzione,
dell'Universita' e della Ricerca, in virtu' di  plurimi  contratti  a
termine per i seguenti periodi: 1) dal 20 settembre 2007 al 31 agosto
2008 presso la Direzione didattica statale di Odenzo (TV); 2)  dall'8
settembre 2008 al 31 agosto 2009  presso  l'Istituto  Comprensivo  G.
Pallavicini di Roma; 3) dal 18  settembre  2009  al  30  giugno  2010
presso l'Istituto Comprensivo La  Giustiniana  di  Roma;  4)  dall'11
settembre 2010 al  30  giugno  2011  presso  il  Liceo  Artistico  A.
Caravillani di Roma (supplenze annuali le prime  due,  poi  supplenze
sino al termine delle attivita' didattiche); 
        che le assunzioni cosi disposte in successione avevano  avuto
la  funzione  di  sopperire  ad  esigenze  non   transitorie   bensi'
strutturali e permanenti e che nei relativi contratti non erano state
indicate  le  esigenze  e  le  ragioni  che  avrebbero   giustificato
l'apposizione del termine; 
        che  il  ricorso  sistematico  alle  assunzioni  a   termine,
necessario per la copertura di  una  rilevante  quota  dei  posti  in
organico, era illecito essendo in  contrasto  con  i  principi  posti
dalla direttiva europea  1999/70/CE,  cosi  come  interpretata  dalla
Corte di Giustizia ed attuata nell'ordinamento italiano  mediante  il
d.lgs. 368/01. 
    Cio'  esposto,  il   ricorrente,   sulla   base   di   articolate
considerazioni  in  diritto,  domandava  accertarsi  l'illegittimita'
delle clausole di apposizione del  termine  contenute  nei  contratti
suddetti  e  condannarsi  l'Amministrazione,  in  via  principale,  a
convertire il rapporto in uno a tempo indeterminato a far data  dalla
stipula del primo contratto nonche' a corrispondergli le  conseguenti
differenze retributive, ovvero, in subordine, a risarcirgli il  danno
cagionato in misura proporzionata ed efficacemente dissuasiva. 
    Instaurato  ritualmente  il  contraddittorio,  si  costituiva  in
giudizio, ex art. 417-bis c.p.c., l'Amministrazione,  controdeducendo
in diritto ed instando per la reiezione della domanda. 
    All'udienza odierna,  all'esito  della  discussione,  il  giudice
pronunciava e dava lettura della presente ordinanza  di  promovimento
di questione di legittimita' costituzionale. 
    1. La disciplina legislativa delle assunzioni a tempo determinato
nel settore (pubblico) della scuola si rinviene tuttora  nell'art.  4
L. 124/99, che recita testualmente: 
        «1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento
che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data  del
31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali  per  l'intero  anno
scolastico, qualora non sia possibile  provvedere  con  il  personale
docente di ruolo delle dotazioni  organiche  provinciali  o  mediante
l'utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreche' ai  posti
medesimi non sia stato gia' assegnato a qualsiasi titolo personale di
ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali,  in
attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione
di personale docente di ruolo. 
    2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento  non
vacanti che si rendano di fatto disponibili  entro  la  data  del  31
dicembre e fino al termine dell'anno scolastico si provvede  mediante
il  conferimento  di  supplenze  temporanee  fino  al  termine  delle
attivita'  didattiche.  Si  provvede  parimenti  al  conferimento  di
supplenze temporanee fino al termine delle attivita'  didattiche  per
la  copertura  delle  ore  di  insegnamento  che  non  concorrono   a
costituire cattedre o posti orario. 
    3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede
con supplenze temporanee. 
    4-5. (...) 
    6. Per il conferimento delle supplenze annuali e delle  supplenze
temporanee sino al termine delle attivita' didattiche  si  utilizzano
le graduatorie  permanenti  di  cui  all'art.  401  del  testo  unico
(approvato con decreto legislativo 16  aprile  1994,  n.  297),  come
sostituito dal comma 6 dell'art. 1 della presente legge  (graduatorie
poi divenute ad esaurimento per effetto dell'art. 1, comma 605, lett.
c, L. 296/06). 
    7-10. (...) 
    11. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano anche
al personale amministrativo, tecnico  ed  ausiliario  (ATA).  Per  il
conferimento delle supplenze al personale della  terza  qualifica  di
cui all'art. 51 del contratto  collettivo  nazionale  di  lavoro  del
comparto "Scuola", pubblicato nel supplemento ordinario n.  109  alla
Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5  settembre  1995,  si  utilizzano  le
graduatorie dei concorsi provinciali per titoli di cui  all'art.  554
del testo unico. 
    (...)». 
    Di  recente,  il  legislatore  e'  intervenuto  su   tale   corpo
normativo, aggiungendovi - con l'art. 1, comma 1, D.L. 134/09,  conv.
in L. 167/09 - il comma 14-bis, per affermare espressamente: 
        «14-bis. I contratti a tempo  determinato  stipulati  per  il
conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3,  in  quanto
necessari  per  garantire  la  costante   erogazione   del   servizio
scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a
tempo indeterminato solo nel caso di immissione in  ruolo,  ai  sensi
delle disposizioni vigenti e sulla base  delle  graduatorie  previste
dalla presente legge e dall'art. 1,  comma  605,  lettera  c),  della
legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni». 
    Il citato art. 1, comma 605, lett. c), L. 296/06  contempla,  tra
l'altro,  distinti  piani  triennali   per   l'assunzione   a   tempo
indeterminato, per gli anni 2007-2009, di personale,  docente  e  non
docente, nei rispettivi contingenti di 150.000 e  20.000  unita',  da
verificare annualmente nella  loro  fattibilita',  al  fine  di  dare
adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico e  di  evitarne
la ricostituzione, di stabilizzare  e  rendere  piu'  funzionali  gli
assetti scolastici, di attivare azioni tese ad abbassare l'eta' media
del personale. 
    Il medesimo art. 1  D.L.  134/09  cit.,  come  sopra  convertito,
prevede ancora, al comma seguente: 
        «2. Tenuto conto di quanto previsto dal comma 1 e al fine  di
assicurare la qualita' e la continuita' del  servizio  scolastico  ed
educativo,  per  l'anno  scolastico  2009-2010  ed  in  deroga   alle
disposizioni contenute nella legge 3  maggio  1999,  n.  124,  e  nei
regolamenti attuativi relativi al  conferimento  delle  supplenze  al
personale  docente  e  al  personale   amministrativo,   tecnico   ed
ausiliario, l'amministrazione scolastica  assegna  le  supplenze  per
assenza  temporanea  dei  titolari,  con  precedenza  assoluta  ed  a
prescindere  dall'inserimento  nelle  graduatorie  di  istituto,   al
personale  inserito  nelle  graduatorie   ad   esaurimento   previste
dall'art. 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006,  n.
296, e successive modificazioni, ed al personale ATA  inserito  nelle
graduatorie permanenti di cui all'art.  554  del  testo  unico  delle
disposizioni legislative vigenti in materia di  istruzione,  relative
alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo  16
aprile 1994, n. 297, e nelle graduatorie provinciali ad  esaurimento,
gia' destinatario di contratto a tempo determinato, annuale o fino al
termine delle attivita' didattiche, nell'anno scolastico 2008-2009  o
che abbia conseguito nel  medesimo  anno  scolastico,  attraverso  le
graduatorie di istituto, una supplenza di almeno centottanta  giorni,
che non abbia potuto stipulare per  l'anno  scolastico  2009-2010  la
stessa tipologia di contratto per carenza di posti  disponibili,  non
sia destinatario di un contratto a tempo indeterminato e non  risulti
collocato a riposo». 
    Ancor  piu'  recentemente,   il   legislatore   ha   emanato   le
disposizioni contenute nell'art. 9 D.L. 70/11, conv. in L. 106/11, su
cui, per la parte rilevante, si dira' infra sub 3. 
    2. Nel nostro ordinamento il d.lgs. 368/01, come integrato  dalla
L. 247/07, rappresenta viceversa un apparato di regole che - per dare
specifica  attuazione  alla  direttiva  europea  1999/70/CE  relativa
all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a  tempo  determinato
(su cui infra) - mira ad evitare l'abusivo  ricorso  al  contratto  a
termine. Tra tali regole quella (art. 5) che  impone  la  conversione
del rapporto in rapporto a tempo indeterminato nel caso  in  cui  una
nuova assunzione sia effettuata, senza soluzione di  continuita',  al
termine di un primo rapporto, e quella che fissa nel termine  massimo
di trentasei mesi il periodo durante il quale il medesimo  lavoratore
possa essere impiegato in virtu' di contratti a termine. 
    La disciplina del contratto a termine, posta dal d.lgs. 368/2001,
deve  ritenersi  di  massima  applicabile  anche  ai  rapporti   alle
dipendenze di pubbliche amministrazioni. 
    L'art. 36 d.lgs. 165/01 infatti, al comma 1, ribadisce, sotto  il
profilo delle esigenze di personale, il principio gia' enunciato  dal
d.lgs. 368/01, secondo cui, di norma, il  rapporto  di  lavoro  e'  a
tempo  indeterminato.  Al  successivo  comma  2  esso  indica,   piu'
restrittivamente anzi che per il settore privato, le  circostanze  in
cui puo' farsi ricorso ad assunzioni a termine  («Per  rispondere  ad
esigenze  temporanee  ed  eccezionali  le  amministrazioni  pubbliche
possano avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e
di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui
rapporti di  lavoro  subordinato  nell'impresa,  nel  rispetto  delle
procedure di reclutamento vigenti»). 
    Esiste - peraltro - l'importante differenza secondo cui, in  caso
di violazione delle norme imperative in materia, non e' possibile  la
conversione in  un  rapporto  di  impiego  pubblico,  secondo  quanto
espressamente prevede l'art. 36 cit., comma 5 (nel  testo  da  ultimo
risultante per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 78/09 conv.
in L. 102/09); fermo il risarcimento del danno. 
    Il  legislatore  ha  quindi  fatto  espresso   riferimento   alla
disciplina privatistica  la  quale,  salvo  le  singole  disposizioni
speciali per il pubblico impiego sopra  evidenziate,  costituisce  la
normativa generale per tutti i lavoratori, a prescindere dalla natura
pubblica o privata del datore di lavoro. 
    3. Se cosi'  e'  in  linea  di  massima,  il  sistema  scolastico
pubblico sfugge a tale assimilazione. 
    L'art. 70 comma 8 d.lgs. 165/01 («Le  disposizioni  del  presente
decreto si applicano al personale  della  scuola.  Restano  ferme  le
disposizioni di cui all'art. 21 della legge 15 marzo 1997,  n.  59  e
del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 35. Sono fatte salve  le
procedure di reclutamento  del  personale  della  scuola  di  cui  al
decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni
ed  integrazioni»)  afferma  bensi',  in  linea  generale,   che   le
disposizioni generali sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze
delle amministrazioni pubbliche valgono anche per il personale  della
scuola, ma stabilisce espressamente che per tale  settore  continuano
ad aver vigore le  norme  speciali  sul  reclutamento,  che  derogano
ampiamente alla norma  posta  dal  precedente  art.  36,  recante  la
disciplina speciale in materia di rapporti di lavoro "flessibili" nel
pubblico impiego, e  a  fortiori  derogano  all'impianto  del  d.lgs.
368/01. 
    Nei termini sopra ricostruiti, il  sistema  di  reclutamento  del
personale scolastico risulta in se' compiuto, specifico e doppiamente
speciale, sia rispetto al sistema delle  assunzioni  alle  dipendenze
delle pubbliche amministrazioni diverse dalla  scuola  pubblica,  sia
rispetto alla normativa comune sui contratti  a  termine  (altrimenti
applicabili in via di principio  a  tutti  i  lavoratori,  e  quindi,
residualmente, anche ai lavoratori pubblici). 
    La disciplina di settore riguardante la scuola pubblica ha dunque
natura chiusa e  speciale,  non  presenta  «lacune»  logico-normative
bisognose di essere colmate e  non  tollera  «integrazioni»  per  via
ermeneutica da parte di fonti piu' generali. 
    Tale   conclusione,   che    poteva    essere    attinta    anche
antecedentemente alla sua emanazione, e' ora definitivamente avallata
- a mo' d'interpretazione autentica - dall'art. 9 D.L. 70/11 conv. in
L. 106/11, cui si faceva sopra riferimento, che,  col  comma  18,  ha
aggiunto, all'art. 10 del d.lgs. 368/01, un comma 4-bis del  seguente
tenore: 
        «4-bis. Stante quanto stabilito  dalle  disposizioni  di  cui
all'art. 40, comma 1,  della  legge  27  dicembre  1997,  n.  449,  e
successive modificazioni, all'art. 4, comma  14-bis,  della  legge  3
maggio 1999, n. 124, e all'art. 6, comma 5, del  decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165, sono altresi'  esclusi  dall'applicazione  del
presente decreto i contratti a tempo  determinato  stipulati  per  il
conferimento  delle  supplenze  del   personale   docente   ed   ATA,
considerata la necessita' di garantire  la  costante  erogazione  del
servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza  temporanea
del  personale  docente  ed  ATA  con  rapporto  di  lavoro  a  tempo
indeterminato ed anche determinato.  In  ogni  caso  non  si  applica
l'art. 5, comma 4-bis, del presente decreto». 
    Lo stesso art. 9 D.L.  70/11  cit.  prevede,  per  quel  che  qui
rileva,  al  comma  17,  l'adozione  di  un  "piano   triennale   per
l'assunzione a tempo indeterminato, di personale  docente,  educativo
ed ATA, per gli anni  2011-2013,  sulla  base  dei  posti  vacanti  e
disponibili in ciascun anno, delle relative cessazioni  del  predetto
personale" e  degli  effetti  del  processo  di  rimodulazione  delle
dotazioni organiche previsto dall'art. 64 D.L.  112/08  conv.  in  L.
133/08;  cio'  con  l'obiettivo  di   garantire   continuita'   nella
erogazione del  servizio  scolastico  ed  educativo  e  conferire  il
maggiore possibile  grado  di  certezza  nella  pianificazione  degli
organici della scuola, nel rispetto degli  obiettivi  programmati  di
finanza pubblica e salvo il criterio di invarianza finanziaria. 
    Che   si   sia   di   fronte   ad   un   intervento   legislativo
d'interpretazione autentica, ancorche' non espressa con  la  relativa
formula  sacramentale,   appare   indubitabile.   La   volonta'   del
legislatore  non  e',  palesemente,   quella   d'innovare   l'assetto
previgente delle assunzioni  nella  scuola  pubblica,  ma  quello  di
operare - a fronte di oscillazioni giurisprudenziali sul punto -  una
ricognizione "autoritativa" della materia. 
    4. Le disposizioni di  settore  sopra  citate,  prevalenti  sulla
disciplina comune, non contengono  prescrizioni  effettive,  volte  a
circoscrivere  le  ragioni  poste  a  sostegno  della   clausola   di
apposizione del termine, ne' a limitare le proroghe e  le  assunzioni
successive. 
    In base  alla  normativa  speciale  sulla  scuola,  pertanto,  e'
lecito, ed anzi doveroso per le  autorita'  scolastiche,  sulla  base
delle graduatorie - al fine di coprire posti  vacanti  e  disponibili
entro la data del 31 dicembre e che  rimangano  presumibilmente  tali
per tutto l'anno scolastico  (supplenze  annuali  o  su  organico  di
diritto), ovvero posti non vacanti, di  fatto  disponibili  entro  la
data  del  31  dicembre  e  fino  al  termine  dell'anno   scolastico
(supplenze temporanee fino  al  termine  dell'anno  scolastico  o  su
organico  di  fatto),  o  ancora  posti  scoperti  per   ogni   altra
contingente ragione (supplenze meramente temporanee)  -  assumere  un
medesimo lavoratore, siccome collocato in una  determinata  posizione
in graduatoria, ripetutamente da un anno all'altro,  senza  soluzione
di  continuita',  senza  l'indicazione  delle  specifiche  ragioni  a
giustificazione del termine, per il solo fatto che  vi  e'  un  posto
vacante che sara' coperto in un momento futuro  indeterminato,  ossia
in attesa dell'espletamento di procedure concorsuali, ovvero  perche'
persistono stabilmente  esigenze  di  coperture  di  posti  di  fatto
liberi. 
    In tal modo un lavoratore potrebbe, senza  che  cio'  costituisca
violazione delle norme specifiche di settore,  trascorrere  tutta  la
propria vita lavorativa quale "supplente annuale" o quale  "supplente
temporaneo". 
    Cio' e' tanto vero che il legislatore del 2009 e del 2011  si  e'
prefisso l'obiettivo di  dare  adeguata  soluzione  al  fenomeno  del
precariato storico e di evitarne la ricostituzione,  ben  consapevole
che esiste un rilevantissimo numero di personale scolastico  precario
impiegato tuttavia, continuativamente e di fatto, da molto  tempo,  e
dunque sostanzialmente necessario per soddisfare esigenze  stabili  e
consolidate dell'Amministrazione. 
    Per il settore (pubblico) della scuola non  vale  pertanto  -  in
base al diritto interno - alcuna delle norme  limitative  dettate  al
fine di dare attuazione alla citata direttiva europea del 1999. 
    5. Tale conclusione non e'  ammissibile  proprio  alla  luce  del
diritto dell'Unione europea, che fissa puntuali condizioni  affinche'
siano tutelati gli interessi ed i diritti dei lavoratori a termine. 
    5.1 L'accordo quadro CES, UNICE e CEEP 28 giugno 1999 sul  lavoro
a tempo determinato, cui ha dato attuazione la  Direttiva  1999/70/CE
del Consiglio del 28 giugno 1999, stabilisce  il  principio  che  gli
Stati membri dell'Unione europea  sono  tenuti  ad  introdurre  nelle
rispettive legislazioni nazionali  norme  idonee  a  prevenire  ed  a
sanzionare l'abuso nella successione di contratti di lavoro  a  tempo
determinato. 
    Come risulta dalla clausola  1,  lett.  b),  dell'accordo  quadro
medesimo, suo obiettivo essenziale e',  infatti,  proprio  quello  di
creare un quadro normativo per la prevenzione degli  abusi  derivanti
dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro  a
tempo determinato. 
    La clausola 5, punto 1, a tal fine stabilisce: «Per prevenire gli
abusi derivanti dall'utilizzo  di  una  successione  di  contratti  o
rapporti di lavoro  a  tempo  determinato,  gli  Stati  membri  [...]
dovranno  introdurre,  in  assenza  di  norme  equivalenti   per   la
prevenzione degli abusi e in modo che tenga conto delle  esigenze  di
settori e/ o categorie specifici di lavoratori,  una  o  piu'  misure
relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione  del  rinnovo
dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata  massima  totale  dei
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c)  il
numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti». 
    5.2 E' da dire,  subito,  che  l'applicabilita'  della  direttiva
europea a tutti i lavoratori indistintamente, pubblici e privati,  e'
affermata senza equivoci dalla Corte di Giustizia medesima  (sentenza
4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler). 
    5.3 In ordine alle misure previste sub b) e c) della clausola  5,
(durata massima totale dei contratti o rapporti  di  lavoro  a  tempo
determinato successivi, numero  dei  loro  rinnovi)  appare  evidente
l'assenza della loro previsione nella disciplina interna relativa  al
reclutamento del  personale  scolastico  a  tempo  determinato  (cfr.
Tribunale Trento, sezione lavoro, ordinanza  27  settembre  2011,  di
rimessione di analoga questione di legittimita' costituzionale). 
    5.4 In ordine alla  misura  prevista  sub  a)  della  clausola  5
esistenza di «ragioni obiettive» che  giustifichino  il  rinnovo  dei
rapporti a tempo determinato successivi), la Corte  di  giustizia  ha
precisato (sentenza Adeneler cit.; sentenza 23 aprile 2009, in  cause
riunite C-378/07 e 380/07, Angelidaki ed altri) che «(...) La nozione
di "ragioni oggettive"  dev'essere  intesa  nel  senso  che  essa  si
riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una
determinata attivita' e, pertanto, tali da giustificare, in un simile
contesto particolare, l'utilizzo  di  contratti  di  lavoro  a  tempo
determinato stipulati in successione». «Dette circostanze» - prosegue
la Corte di  Lussemburgo  -  «possono  risultare  segnatamente  dalla
particolare natura delle  funzioni  per  l'espletamento  delle  quali
siffatti  contratti  sono  stati  conclusi  e  dalle  caratteristiche
inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento  di  una
legittima finalita' di politica sociale di uno Stato membro (...) Per
contro, una disposizione nazionale che si limiti ad  autorizzare,  in
modo  generale  ed  astratto  attraverso  una  norma  legislativa   o
regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a  tempo  determinato
stipulati in successione, non soddisferebbe i  criteri  precisati  al
punto precedente (...)». 
    Ora  appare  evidente,  quanto  meno  per  le  supplenze  annuali
disposte in esecuzione dell'art. 4,  comma  1  L.  124/1999  (che  in
questo giudizio hanno riguardato il ricorrente), che dette  supplenze
vengano conferite per far  fronte  a  stabili  vacanze  di  organico,
determinate dal fatto che il numero delle  unita'  del  personale  in
ruolo  e'  inferiore  a  quello  dei  posti  previsti   nell'organico
medesimo. Qualora  venisse  apprestata  una  dotazione  di  personale
effettivamente  corrispondente  alle  posizioni   in   organico,   le
variazioni in aumento della domanda  di  prestazioni  lavorative  sul
territorio,  dovute  alle  annuali  modificazioni  della  popolazione
scolastica, potrebbero essere fronteggiate con  un  ricorso  a  forme
contrattuali  flessibili  meramente  residuale   (Trib.   Trento   27
settembre 2011, cit.). 
    E' innegabile che cio' comporterebbe un possibile aggravio per la
spesa pubblica, tenuto conto del rischio di possibili  variazioni  in
diminuzione di quello  stesso  fabbisogno  di  lavoratori  (per  calo
demografico degli studenti, o comunque per  ridimensionamento,  anche
rispetto solo a talune aree del  territorio  nazionale,  a  qualsiasi
ragione  dovuto,  delle  iscrizioni  o,   all'opposto,   dell'offerta
formativa)   e   del   conseguente   sovradimensionamento   (oneroso)
dell'organico. 
    Alla scelta del legislatore - di  consentire  all'Amministrazione
scolastica di procedere alla copertura delle cattedre, dei  posti  di
insegnamento  e  di  quelli  ausiliari   effettivamente   vacanti   e
disponibili mediante il  conferimento  di  supplenze  anche  annuali,
anziche' attraverso assunzioni in ruolo a tempo  indeterminato  -  e'
sottesa dunque, unicamente,  la  necessita'  di  contenere  la  spesa
pubblica (onde scongiurare a priori la possibilita' di  personale  di
ruolo «soprannumerario», ossia in  esubero  rispetto  alle  effettive
esigenze del servizio scolastico). Certamente  la  razionalizzazione,
il controllo  e  la  riduzione  della  spesa  pubblica  costituiscono
interessi generali collegati ai principi costituzionali  di  rispetto
degli  equilibri  di  bilancio  e  di  buon   andamento   dell'azione
amministrativa (ex artt.  81  e  97  Cost.).  E,  tuttavia,  siffatte
esigenze  di  natura  economica,  proprio  per  la  loro  tendenziale
generalita', non  caratterizzano  in  modo  particolare  il  servizio
scolastico,  che  richiede  di  essere  gestito  secondo  criteri  di
economicita'  ed  efficienza  -mediante  un'efficace   e   tempestiva
programmazione del fabbisogno  scolastico,  un'accorta  gestione  del
turn-over  di  personale,  un  pronto  ricorso  alle   procedure   di
mobilita', tutti  meccanismi  in  grado  di  contenere  gli  oneri  e
garantire oculatezza di gestione -, alla pari di ogni altro  servizio
pubblico; e le  indubbie  peculiarita'  del  settore  scolastico  non
appaiono tali da giustificare la totale  obliterazione  dei  principi
della  legislazione  europea  in  materia  di   contratti   a   tempo
determinato. 
    Tanto piu' se si considera che l'applicazione  di  questi  ultimi
principi inevitabilmente si riflette,  aumentandolo,  sul  costo  del
lavoro, ricadente su qualunque datore (incluso,  come  visto,  quello
pubblico) destinatario  della  normativa  restrittiva;  e  come  tale
limitato, a tutela dei maggiori valori della dignita' e liberta'  del
lavoro, nella sua autonomia negoziale in  ordine  alla  conformazione
della durata dei rapporti e pertanto chiamato a sopportare i connessi
prevedibili oneri aggiuntivi. 
    Ne' l'interesse di contenimento di quel costo, di «risparmio», e'
di per se' riconducibile a quella finalita' di politica  sociale,  il
cui perseguimento solo  consente,  secondo  la  Corte  di  giustizia,
l'utilizzo di contratti a tempo determinato in successione. 
    L'impegno  preso  dal  legislatore,  nel   2009   e   nel   2011,
d'implementare le assunzioni di ruolo, mediante  piani  triennali  da
adottare «all'esito di specifica sessione negoziale», non sembra tale
da giustificare - in  via  transitoria  -  la  disapplicazione  della
direttiva, giacche' trattasi di vincolo meramente  programmatico,  la
cui  attuazione   e'   resa   incerta   dall'espressa   clausola   di
compatibilita' con i saldi di finanza pubblica  e  che  comunque  non
assicura, in tempi ragionevolmente prevedibili, la  riconduzione  del
precariato  scolastico  entro  la  cornice  imposta  dalla  direttiva
europea. 
    5.5 Da ultimo occorre, sul punto, ricordare che l'accordo quadro,
al n. 10  del  «considerando»,  facendo  salva  la  possibilita'  che
ciascuno Stato tenga conto di  «circostanze  relative  a  particolari
settori ed occupazioni», lascia - e'  vero  -margini  per  discipline
ragionevolmente derogatorie rispetto  ai  suoi  stessi  principi,  se
giustificate da effettive peculiarita'. Alle quali sembra richiamarsi
il legislatore italiano con i piu'  recenti  interventi  legislativi,
li' dove il peculiare assetto derogatorio viene appunto fondato sulla
necessita'  di  «garantire  la  costante  erogazione   del   servizio
scolastico ed educativo». 
    La Corte di Giustizia UE, nella sentenza 7 settembre 2006,  causa
C-53/04, Marrosu, ha tuttavia precisato che  la  citata  clausola  5,
punto  1,  impone  -  comunque  -  agli  Stati  membri  l'obbligo  di
introdurre nel loro ordinamento giuridico  almeno  una  delle  misure
elencate nel detto punto 1, lett. a)-c), qualora non  siano  gia'  in
vigore  nello  Stato  membro   interessato   disposizioni   normative
equivalenti, volte a prevenire in modo effettivo  l'utilizzo  abusivo
di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. 
    La  stessa  sentenza  aggiunge  che  la  facolta'  di  tenere  in
considerazione le particolari  anzidette  esigenze  puo',  viceversa,
legittimare, nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali,  reazioni
sanzionatorie adeguatamente modulate e distinte per settori attivita'
e/categorie di lavoratori, senza pregiudizio per la  loro  efficacia,
come appresso si dira'. 
    5.6 In  conclusione,  l'indiscriminato  e  reiterato  rinnovo  di
contratti  a  tempo  determinato  risulta,   in   subiecta   materia,
certamente difforme dal diritto europeo. Palese appare  il  contrasto
tra quest'ultimo e la nostra disciplina interna del reclutamento  del
personale scolastico a tempo determinato. 
    6. Il contrasto tra tale  normativa  europea  e  la  legislazione
italiana sul lavoro precario nella scuola pubblica  non  puo'  essere
risolto - re melius perpensa  -  mediante  la  disapplicazione  della
fonte interna incompatibile, nella misura che  appaia  indispensabile
per risolvere l'antinomia. 
    I rapporti tra le fonti dell'Unione europea e  le  fonti  interne
sono da tempo ordinati dalla giurisprudenza costituzionale grazie  ad
una lettura dell'art. 11 cost. capace di dare un significato concreto
alle «aperture» sovranazionali che la norma consente  al  legislatore
ordinario. Sin dalla sentenza n. 170 del 1984 la Corte costituzionale
ha  adottato  la  teoria  della  separazione/coordinamento   di   due
ordinamenti che rimangono formalmente distinti, giungendo,  sia  pure
sulla base di diversi fondamenti teorici, alle  medesime  conclusioni
offerte dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in merito  alla
supremazia del diritto dell'Unione europea sul diritto interno ed  al
suo corollario della efficacia diretta delle  fonti  UE  direttamente
applicabili. 
    E'  dunque  del  tutto  incontroverso   che,   in   presenza   di
disposizioni  interne  irrimediabilmente  incompatibili   con   fonti
dell'Unione dotate di diretta efficacia, che  si  tratti  di  diritto
scritto (disposizioni del Trattato, regolamenti,  Carta  dei  diritti
fondamentali) o di fonti non scritte (principi generali del diritto),
e' compito del  giudice  (nonche',  a  monte,  dell'amministrazione),
procedere alla disapplicazione (o non applicazione)  delle  prime  al
fine di dare applicazione all'unica norma che regola la  fattispecie,
quella dell'Unione. 
    Quanto alle direttive, esse,  pur  concepite  dai  redattori  del
Trattato come una sorta di «legge-quadro», per definizione in  debito
di un compiuto intervento di dettaglio da parte degli  Stati  membri,
contengono   sovente   una   disciplina   (quantomeno   parzialmente)
dettagliata di determinate materie. Tale  prassi  (legittimata  dalla
Corte di Giustizia UE: cfr. sentenza 23 novembre 1977,  causa  38/77,
Enka)  e'  dovuta   all'esigenza   di   evitare   che   l'azione   di
armonizzazione delle  discipline  nazionali,  sede  elettiva  per  il
ricorso alle direttive medesime da  parte  del  legislatore  europeo,
possa  essere  resa  inefficace  a  causa  dell'eccessiva  latitudine
dell'intervento  attuativo  riconosciuto  agli   Stati   membri,   in
particolare qualora detta  attivita'  si  sia  indirizzata  verso  la
disciplina  di  fenomeni  giuridici  tipicamente   privatistici:   di
conseguenza, pur se  destinate  formalmente  agli  Stati  membri,  le
direttive includono disposizioni  che  nella  sostanza  disciplinano,
anche  in  maniera  esclusiva,   rapporti   interindividuali   (come,
tipicamente, nella materia del lavoro). 
    Se il testo  del  Trattato  non  attribuisce  alle  direttive  la
qualifica di atti «direttamente applicabili», riservata dall'art. 288
TFUE ai regolamenti, e' un dato consolidato che  le  prime  siano  in
grado di produrre  «effetti  diretti»,  potendo  essere  invocate  in
giudizio dai privati «per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto
interno non conforme alla direttiva ovvero  in  quanto  sono  atte  a
definire diritti che i singoli possono far valere  nei  confronti  di
uno Stato» (sentenza Corte di Giustizia 19 gennaio 1982, causa  8/81,
Becker: c.d. effetti verticali). 
    Cio'  avviene,  pero',  nel   rispetto,   ineludibile,   di   due
condizioni: e' necessario, da un lato, che le disposizioni  contenute
in  una  direttiva  risultino,  dal  punto  di   vista   sostanziale,
incondizionate e sufficientemente precise; dall'altro, che  lo  Stato
membro in questione non abbia adottato,  entro  il  termine  indicato
dalla direttiva stessa, le  necessarie  disposizioni  di  attuazione,
ovvero che detta attivita' si sia  svolta  in  maniera  non  corretta
(cfr., ex pluribus, la sentenza Corte di Giustizia  5  ottobre  2004,
cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer, in cui si  legge  che
«risulta da una costante giurisprudenza della Corte che, in  tutti  i
casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal  punto  di
vista  sostanziale,  incondizionate  e  sufficientemente  precise,  i
singoli  possono  farle  valere  dinanzi  ai  giudici  nazionali  nei
confronti  dello  Stato,  sia   che   questo   non   abbia   recepito
tempestivamente la direttiva sia che l'abbia  recepita  in  modo  non
corretto»). 
    Le  disposizioni   di   una   direttiva   hanno   dunque,   nella
ricostruzione operata dalla  Corte  di  giustizia,  la  capacita'  di
operare come precetto normativo che, in mancanza di (corrette)  norme
interne di attuazione, si pone come regola della singola fattispecie.
La circostanza che detto rimedio sia inteso  come  «reazione»  ad  un
inadempimento  da  parte  dello  Stato  membro  non  esclude  che  la
direttiva operi come fonte autonoma di diritto, la quale - situandosi
in un livello, nella gerarchia  delle  fonti,  superiore  alle  norme
interne - prevale, all'occorrenza, su  norme  interne  incompatibili,
anche di rango legislativo. Cio' avviene, e' il caso  di  precisarlo,
anche qualora le direttive siano invocate in giudizio in rapporti  di
contenuto privatistico, purche' sempre nei confronti di un  ente  pur
indirettamente riconducibile alla definizione di «Stato»  accolta  in
questo contesto dalla Corte  di  giustizia  (ad  esempio,  un'impresa
pubblica: cfr. sentenza 12 luglio 1990, causa C-188/89, Foster). 
    La Corte di  giustizia  ha  invece  ripetutamente  escluso  (cfr.
sentenze 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro; 7  gennaio  2004,
causa C-201/02, Wells) che le direttive, nonostante il loro carattere
di  «completezza»,  siano  capaci   di   produrre   effetti   diretti
«orizzontali»  (ossia  nei  rapporti  tra  privati),  ne'  che  siano
invocabili dal  potere  pubblico  nei  confronti  del  privato  (c.d.
«effetti verticali inversi»); soccorrendo tuttavia in tali casi -  di
direttive  non  autoapplicative,  o   rilevanti   in   rapporti   non
direttamente verticali, ma pur sempre, per definizione, incidenti nel
sistema «integrato» delle  fonti,  in  quanto  contenenti  norme  che
godono di una posizione di primaute' rispetto a quelle nazionali - il
rimedio  dell'interpretazione  conforme  (sentenza  Pfeiffer  citata)
ovvero quello, residuale, della  responsabilita'  patrimoniale  dello
Stato  inadempiente  (sentenza  25  febbraio  1999,  causa  C-131/97,
Carbonari). 
    Orbene, nella fattispecie di  causa  non  ricorrono  i  requisiti
perche' la direttiva europea in discorso spieghi effetti diretti. 
    La Corte di giustizia ha infatti  statuito  (sentenze  15  aprile
2008, causa C-268/2006, Impact; Angelidaki  e  altri,  cit.)  che  la
clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro non appare, sotto il profilo
del suo contenuto,  incondizionata  e  sufficientemente  precisa  per
poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un  giudice  nazionale
in  quanto,  ai  sensi  di  tale  disposizione,  rientra  nel  potere
discrezionale degli Stati membri  ricorrere,  al  fine  di  prevenire
l'utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, ad una
o piu' tra le misure enunciate in tale clausola o,  ancora,  a  norme
equivalenti in vigore, purche' essi tengano conto delle  esigenze  di
settori e/o di categorie specifici di lavoratori; nel contempo non e'
possibile determinare in maniera sufficiente la protezione minima che
dovrebbe comunque essere attuata in virtu' di suddetta clausola. 
    7. Si e' dunque a cospetto  di  un  contrasto  tra  la  normativa
interna e una fonte europea priva di effetto diretto. 
    La Corte di giustizia insegna che il contrasto  va  composto,  se
possibile, in via interpretativa. 
    Il giudice nazionale, nell'applicare il  diritto  interno,  «deve
interpretare tale diritto per quanto possibile alla luce del testo  e
dello scopo della direttiva onde conseguire il  risultato  perseguito
da quest'ultima (...)» (sentenze 10 aprile 1984, causa  C-14/83,  Von
Colson Kamann; 13  novembre  1990,  causa  C-106/89,  Marleasing;  14
luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori;  23  febbraio  1999,  causa
C-63/97, BMW; Pfeiffer ed altri, citata). 
    «Il principio di interpretazione conforme richiede  (...)  che  i
giudici nazionali si  adoperino  al  meglio  nei  limiti  della  loro
competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella  sua
interezza e applicando i metodi di  interpretazione  riconosciuti  da
quest'ultimo, al  fine  di  garantire  la  piena  effettivita'  della
direttiva di cui trattasi e pervenire ad una soluzione conforme  alla
finalita' perseguita da quest'ultima» (Pfeiffer e altri, Adeneler  ed
altri, citate). 
    Tuttavia «l'obbligo per il giudice nazionale di fare  riferimento
al   contenuto    di    una    direttiva    nell'interpretazione    e
nell'applicazione delle norme pertinenti del  suo  diritto  nazionale
trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare
in quelli di certezza del diritto e di non retroattivita', e non puo'
servire da fondamento ad un'interpretazione contra legem del  diritto
nazionale» (sentenze  8  ottobre  1987,  causa  C-80/86,  Kolpinghuis
Nijmegen; 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino; Adeneler  e  altri,
citata; Impact, citata). 
    Nella specie, il contrasto non e' rimediabile in via ermeneutica,
stante il carattere chiuso e in  se'  esaustivo  della  normativa  di
settore da cui origina, e  l'inequivoca  volonta'  legislativa  -  da
ultimo ribadita con l'art. 9 D.L. 70/11  conv.  in  L.  106/11  -  di
mettere siffatta normativa al riparo  da  ogni  «contaminazione»  con
regole e principi di genesi o derivazione europea. 
    8. Se cosi' e', la disciplina vincolante  per  il  giudice  resta
quella interna, salvo il potere/dovere del medesimo di  provocare  su
di essa il controllo della Corte costituzionale. 
    E' pacifico infatti, nella giurisprudenza di quest'ultima, che le
direttive comunitarie fungano da norme interposte, atte ad  integrare
il parametro per la valutazione  di  conformita'  della  legislazione
interna, nazionale e regionale, al precetto di cui all'art. 117 primo
comma cost. (secondo cui «La potesta' legislativa e' esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto della  Costituzione,  nonche'  dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.»). 
    La violazione della direttiva 1999/70/CE, alla cui  illustrazione
e' dedicata la narrativa che precede, ridonda pertanto  in  vizio  di
legittimita' costituzionale della fonte interna. 
    Quest'ultima va identificata, precisamente, nell'art. 4 comma 1 e
11 L.  124/99,  nella  parte  in  cui  la  disposizione  consente  la
copertura  dei  posti  riservati  al  personale  ATA,  che  risultino
effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre  e
che rimangano prevedibilmente  tali  per  l'intero  anno  scolastico,
mediante  il   conferimento   di   supplenze   annuali,   in   attesa
dell'espletamento delle procedure  concorsuali  per  l'assunzione  di
personale  di   ruolo,   cosi'   da   determinare   una   successione
potenzialmente  illimitata  di  contratti  a  tempo  determinato,   e
comunque svincolata dall'indicazione di ragioni obiettive  e/o  dalla
predeterminazione di una durata massima  o  di  un  numero  certo  di
rinnovi. 
    In  questi  termini  deve  sollevarsi,  d'ufficio,  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    9. Trattasi di questione rilevante per l'esito  del  processo  in
corso, giacche' entrambi il ricorrente risulta assunto con  contratti
in successione (e tali devono reputarsi  anche  i  contratti  che  si
ripetono nel tempo con intervalli ridotti: cfr.  ordinanza  Corte  di
Giustizia 12 giugno  2008,  causa  C-364/07,  Vassilakis),  stipulati
anche ai sensi dell'art.  4,  comma  1  L.  124/99,  per  una  durata
complessiva di oltre trentasei mesi, e cio' in difetto di specifiche,
valide ed applicabili indicazioni su durata massima dei  contratti  o
rapporti  e  numero  dei  loro  rinnovi  ed  in  assenza  di  ragioni
giustificatrici obiettive (che non  possono  risolversi  in  esigenze
permanenti  del  datore  di  lavoro,  in  fabbisogni  tendenzialmente
immutabili o dalla durata non preventivabile). 
    Tali  assunzioni,  allo  stato  conformi  al   diritto   interno,
muterebbero la loro  qualificazione  nel  caso  d'accoglimento  della
questione di legittimita' costituzionale,  essendo  l'intervento  del
giudice delle leggi qui indispensabile perche' il settore  (pubblico)
scolastico  italiano  possa  trovarsi  a  rispettare   il   principio
ispiratore, espresso al n. 6 del «considerando» dell'accordo  quadro,
secondo  cui  «i  contratti   di   lavoro   a   tempo   indeterminato
rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono
alla qualita' della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il
rendimento». 
    E' il caso di anticipare che,  secondo  quanto  sopra  accennato,
l'illegittima apposizione del termine non  potrebbe  comportare,  nel
nostro ordinamento, la costituzione con una pubblica  amministrazione
di un rapporto a tempo indeterminato, ostandovi il disposto dell'art.
36  d.lgs.  165/01  (e,  segnatamente  per  il  settore   scolastico,
dell'art. 4, comma 14-bis, L. 124/99). 
    Tuttavia, la pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale
schiuderebbe  le  porte  alla  domanda  di  risarcimento  dei  danni,
proposta dal ricorrente in via subordinata  rispetto  alla  richiesta
conversione. 
    Con la citata sentenza Adeneler, la Corte di Giustizia UE ha  del
resto chiarito che la sanzione  della  conversione  del  contratto  a
tempo determinato in contratto a tempo indeterminato non  e'  l'unico
possibile mezzo di tutela che uno Stato membro  puo'  approntare  per
assicurare il raggiungimento degli obiettivi posti  dalla  direttiva;
che e' pur necessaria l'adozione di  misure  dirette  a  prevenire  e
contrastare  l'utilizzazione  abusiva  di  contratti  a  termine   in
successione; che ciascuno Stato puo' dunque escludere l'effetto della
conversione,  purche'  adotti  misure  concrete,   proporzionate   ed
effettive, volte a contrastare il fenomeno dell'abusivo ricorso  alle
assunzioni a termine. 
    Misure che, dunque, ben possono risolversi - lo si indica qui sin
d'ora, al solo scopo di  consentire  alla  Corte  adita  un'esaustiva
delibazione in punto  di  rilevanza  -  nel  risarcimento  dei  danni
previsto  dall'art.  36  d.lgs.  165/01,  modulato  in  modo  che  al
lavoratore della scuola, che sia  stato  illegittimamente  assunto  a
termine  e  che  non  possa  vedere  accertata  la  natura  a   tempo
indeterminato del rapporto di lavoro, sia riconosciuto un quantum che
insieme rappresenti  adeguato  ristoro  del  danno  costituito  dalla
impossibilita' di fruire di un'occupazione  stabile  alle  dipendenze
della pubblica amministrazione,  possibilita'  invece  attribuita  ai
dipendenti di aziende, private assunti a termine illegittimamente,  e
contemporaneamente costituisca una valida  misura  dissuasiva  contro
l'abusivo ricorso alle assunzioni a termine.